sabato 15 marzo 2014

Casa Famiglia o Miserabilia?


L'istituzione e la realizzazione della Casa-famiglia dovrebbe rappresentare una lodevole iniziativa sociale per assicurare a bambini ed adolescenti trascurati un centro di accoglienza che li aiuti a crescere dignitosamente. In realtà i soldi pubblici sono serviti ad acquistare un immobile ad un prezzo non proprio conveniente. Non per i cittadini, almeno.



La storia della casa-famiglia rappresenta il paradigma di ciò che avviene spesso in Italia: nobili propositi e belle iniziative diventano un paravento per altri intenti.
Partiamo dal presupposto che l'elemento principale per il benessere dei ragazzi in difficoltà sia anzitutto il personale che se ne prende cura, e la dedizione con cui lo fa: tali persone non appartengono ai Servizi Sociali di Sommacampagna, ma all'Istituto Don Calabria.

L'impegno dell'amministrazione è stato semplicemente quello di procurare una struttura. Vediamo come tale struttura è stata scelta. Un immobile adeguato ad ospitare decorosamente 6-7 ragazzi dovrebbe avere un prezzo di mercato di circa 6-7 centomila euro. L'amministrazione Manzato-Mengalli ha deciso invece di acquistare un immobile da una Banca di Caselle (BCC) spendendo, tra acquisto e ristrutturazione, circa 2 milioni di euro: praticamente il triplo!

Oltre alla casa-famiglia, il complesso comprende degli uffici che, tuttavia, risultano sfitti e non hanno portato alcun risultato utile. Un immobile di per sé privo di pregio culturale e di utilità sociale. Perché allora è stato scelto proprio quell'edificio? Come mai l'amministrazione ha speso con tanta facilità il denaro pubblico, mentre privatamente gli acquisti vengono fatti con maggiore avvedutezza?

Forse non avremo mai le risposte, ma sicuramente non sarebbe astuto affidare nuovamente i nostri soldi alle stesse persone che in passato li hanno spesi con questi criteri.

Dopo un acquisto così increscioso si potrebbe pensare che gli amministratori di segno opposto abbiano cercato in ogni modo di ovviare a tale pesante onere per i cittadini. Il “partito degli imprenditori” si era reso conto dell’investimento folle. Ha effettuato tutte le valutazioni del caso, commissionando anche una perizia ad un funzionario dell'assessorato ai beni pubblici. Esito: il valore commerciale dell'immobile era circa la metà del prezzo pagato!

Nessuno tuttavia ha azzardato una comunicazione alla Corte dei Conti, l’organo di controllo nazionale delle spese effettuate dalle pubbliche amministrazioni. Forse si sarebbero potuti addebitare i 1,3 milioni di euro agli amministratori responsabili di questa sciagurata scelta. Anche l'inerzia della passata amministrazione risulta inspiegabile. Al massimo si può spiegare con una sorta di irresponsabilità generale, diffusa e condivisa di chi amministra cose non sue.

La situazione non sarebbe nemmeno così nefasta ed avvilente se non si considerasse che tale acquisto è stato totalmente inutile e privo di senso, in quanto un immobile idoneo per la casa famiglia esisteva già tra le proprietà comunali: la ex casa di riposo. Un luogo piacevole, in mezzo al verde e dotato un ampio appezzamento di terreno  sfruttabile come orto, ideale per attenuoare le spese alimentari di persone in difficoltà.

L'amministrazione Manzato–Mengalli avrebbe potuto utilizzare quei due milioni di euro per ripristinare, restaurare e valorizzare un edificio ben più grande di quello acquistato. Uno spazio che, oltre alla casa-famiglia, sarebbe stato sufficiente come luogo di riunione per le associazioni, per la coltivazione di un orto pubblico o per altre attività sociali. Un bene pubblico che invece è stato iscritto tra le proprietà cedibili, e puntualmente messo in vendita dalla successiva amministrazione al fine di rimpinguare le casse comunali esaurite. Una specie di effetto domino: abbiamo speso soldi per comprare un edificio di dubbio valore, e poi siamo stati costretti a vendere un edificio storico per carenza di fondi.

Quanto avvenuto è un paradigma di quanto succede in tutta Italia, dove non solo si scopre che amministratori pubblici accumulano ricchezze a danno dello Stato, ma amministratori sprovveduti o irresponsabili utilizzano il danaro pubblico per avventurarsi in spese senza senso, magari avallati da perizie “ad sostenendum”.

Se facciamo il conto che solo a Sommacampagna in questa bella operazione son stati buttati via 2 milioni di euro, una cifra significativa per un comune di 15mila abitanti. Certamente non siamo tra i comuni più spreconi del Paese ma, fatte le debite proporzioni, è come se in Italia fosse stata buttata una cifra nell'ordine degli 8 miliardi di euro.

Se eliminiamo la stupidità dall’Italia, la ripresa farà un balzo in avanti impressionante. Possiamo iniziare a farlo già da oggi, nel nostro Comune!
                                       

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